IL DESERTO (ricordi d’Africa)

Al di là di un ampio valico tra le cime di due montagne granitiche arrotondate, la pista, o meglio la trac­cia, scende dolcemente verso la vastità di una pianura solcata da un grande fiu­me secco, prima di perdersi in lonta­nanza verso un’altra catena di monta­gne.

Il terreno, improvvisamente, di­viene sabbioso e la macchina rotola via silenziosa e senza scosse nella sera. L’aria, purissima e tersa, da rovente si è fatta tiepida ed è davvero piacevo­le esserne avvolti.

Attorno a noi, le cime più alte avvam­pano rosse nell’incendio dell’ultimo so­le, mentre la pianura e le valli sono in­vase e sommerse da una trasparenza viola che cambia in infinite tonalità, di roccia in roccia, di ombra in ombra.

II cielo si è trasformato dall’abbacinan­te lastra blu acciaio del giorno in una morbida coltre quasi nera in cui, col passare dei minuti, fioriscono le prime avanguardie di una infinita moltitudine luminosa di stelle.

Guardo mia moglie che, in piedi accanto a me, si sostiene al roll-bar della Toyota.

Elena ha gli occhi lucidi. Tanta bel­lezza, tanta sovrumana pace (ci perdo­ni il Leopardi), tanta assenza di confini e tanta libertà sopraffanno e commuo­vono. Forse non ce le aspettavamo: non così intense, non così penetranti. An­che se proprio per questo siamo venu­ti qui, nel cuore del più antico deserto del mondo: il Namib.

Incontri namibiani

Parte di una vacanza più ampia, i gior­ni spesi nel Namib sono stati forse i più belli ed emozionanti tra quelli trascor­si in quello splendido Paese.

Sulle dune del Namib, in vista della Skeleton Coast

Io poi, cacciatore inveterato, ho ap­profittato dell’occasione per cercare un paio di trofei eccezionali delle due più tipiche specie del deserto: lo spring­buck  e il gem­sbuck, o orice, che qui raggiungono dimensioni difficilmente superabili.

Amo la caccia per se stessa e per le impareggiabili occasioni di contatto con la natura che mi offre.

Amo tutte le cacce, se sono autentiche e impegnative. Non sono di quei “mam­masantissima” che dicono: «Io solo con l’elefante» o “Se non sono alle prese col cafro non mi interessa”.

Anch’io, ve l’assicuro, ho praticato tutte le cacce africane compresi i “gran­di” e mi ci sono divertito ed emoziona­to.

Ma amo anche le altre cacce e sono ve­nuto in questo angolo di mondo per ti­rare un paio di fucilate.

Se la caccia, come dovrebbe essere, al di là della acquisizione di uno status ­symbol, o dello sciorinare i propri tro­fei all’invidia altrui, è arricchirsi di na­tura, di esperienza, delle mille facce di questo sorprendente pianeta, ascoltate­mi, andate nel Namib.

Oltre tutto costa poco (forse a qualcu­no non interessa, ma coi tempi che cor­rono…), e vi ripagherà mille volte.

Siamo venuti in Namibia in marzo, for­se il mese più bello: appena finite le piogge, tutto è verde e il clima è pia­cevolmente caldo, lontano dalle note­voli escursioni termiche giornaliere del periodo corrispondente alla nostra esta­te. Quest’anno poi, cosa rarissima, è piovuto anche nel deserto e in effetti, guardando raso terra, si intravede in al­cuni luoghi una rada peluria verde.

Qui dicono che ora il Namib è verdissimo: miracoli della relatività.

Siamo stati all’interno, nella savana e sulle montagne, quest’ultime davvero verdissime e ricche d’acqua, ove si cacciano il kudu, l’eland , la zebra di montagna, il leopardo, il ghepardo (questo è l’unico Paese dove lo si caccia legalmente) e vari altri ani­mali.

Siamo stati lungo la Skeleton Coa­st ove i paesaggi sono da capogiro e la pesca è quasi miracolosa.

Saraghi sull’ Atlantico
Elena compagna di vita e di avventure

Abbiamo te­nuto per ultimo il Namib, e abbiamo fatto bene: dulcis in fundo.

La macchina rotola silenziosa verso il nostro piccolissimo ma confortevole campo volante, che abbiamo mon­tato stamane. E rotolano via i pensieri, liberi dagli steccati degli affari, dei fax e telefoni, della stramaledetta agenda.

Così dovrebbe essere…

Intanto è buio, passo un braccio attor­no alle spalle di Elena e, poco dopo, la macchina si ferma.

There we are” , dice Bryan con voce tranquilla.

Intravedo la sago­ma delle due piccole tende e dell’at­trezzatura. In un attimo – questa gente è davvero straordinaria – un piccolo an­golo buio e sperduto nel deserto si tra­sforma: poltrone da campo, fuoco e vino bianco fresco.

Questa mattina, con un tiro più vicino ai 400 metri che ai 300, ho abbattuto lo springbuck che volevo.

In breve filetti e fegato vanno sulla brace; sono pronte salsa, verdure, frutta.

I bicchieri si ap­pannano con l’eccellente vino sudafri­cano.

Poi, al fuoco, con una sigaretta e un whisky, alziamo gli occhi verso uno spettacolo che lascia senza fiato, il ve­ro miracolo del deserto: il cielo stellato.

Milioni di stelle brillano purissime non in un cielo piatto, ma in una vera e pro­pria semisfera che avvolge tutto. In quest’aria limpidissima e asciutta, sen­za alcuna fonte luminosa, le stelle nascono dall’orizzonte, dal terreno di fronte a voi.

È quasi sconvolgente, qua­si un tuffarsi nell’infinito, attratti da una arcana ipnosi.

La conversazione si spegne, resta solo la meraviglia.

I1 fuoco si abbassa e la lunga giornata comincia a pesare. Una notte tranquilla ci prepara a un al­tro giorno di esplorazione e caccia.

Uno splendido Springbuck

Adesso cerchiamo un orice, un grande orix dal trofeo forte e lungo.

Nel nostro girovagare giungiamo in una zona ampia e leggermente ondulata, in­terrotta da rare e rotondeggianti sago­me di collinette granitiche.

II terreno è sassoso e ghiaioso, aridissi­mo, ma all’orizzonte si muovono gruppi di orici.

Comincia il gioco a rim­piattino su questo terreno poco favore­vole e con animali attenti e poco di­sposti a farsi avvicinare.

Si sfrutta ogni ondulazione, ed è un gran lavoro di binocolo.

Dopo una so­sta nell’ombra fresca di una grande roc­cia per un po’ di relax e una veloce co­lazione, nel primo pomeriggio si ripar­te. L’aria è letteralmente arroventata e il sole, nonostante il vento, morde dav­vero.

Finalmente, in un branco di 7-8 ca­pi, individuiamo il maschio che ci inte­ressa. Trofeo lunghissimo, forte, per­fetto. Adesso viene il bello: portarsi a una distanza ragionevole di tiro. Gli animali, nervosi, pare non vogliano proprio fermarsi mai.

Non voglio, d’altronde, forzarli con la macchina: è un metodo che mi ripu­gna. Tentiamo, così, di intercettarne la “rot­ta” percorrendo ampi archi e cercando di emergere da qualche ondulazione del terreno in posizione favorevole. È appassionante ed emozionante. Quan­do sarà la volta buona?

Uno, due, tre tentativi poi, finalmente, ci tro­viamo a una distanza che pare accettabile. Scendo e mi preparo veloce a sparare, dopo aver trovato un buon appoggio su di un grosso masso.

Collimo e gli animali se ne vanno. Un attimo di sconforto: ma poi, po­co più in là, si fermano e riprendono il passo. Riallineo.

La distanza è notevole, ma il mio vecchio 7 Remington è ormai come una parte di me e il colpo fa crollare il maschio senza inutili sofferenze. Ci avviciniamo pia­no, mentre la polvere del branco in fu­ga si disperde.

Un grande maschio che va nel libro

In silenzio, con quel vago senso di tri­stezza che provo sempre dinnanzi ad un ani­male caduto, guardo la mia preda, l’obiettivo raggiunto.

E gusto la gioia, l’emozione, la tensio­ne che si dissolve. Gli altri che mi co­noscono, rispettano in silenzio questi momenti e il conflitto dei “perché” che agitano l’animo di un appassionato cac­ciatore che, sopra ogni cosa, ama la na­tura e le sue creature.

So che sembra una contraddizione, ma so anche che chi ama, come me que­ste cose, capisce senza bisogno di spie­gazioni che, forse, non trovano neppu­re facili parole.

Ecco, adesso un’altra notte sotto le bril­lanti stelle del deserto e poi, domani, si rientra a Walvis Bay da dove il primo dei tre o quattro aerei che ci aspettano ci porterà verso quell’altro lontano piane­ta della serena e dolce campagna ve­neta che, forse, si sta appena de­stando dal lungo sonno invernale.

Michelangelo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *