IL CAPRIOLO CHE NON SAPEVA DI ESSERE …………

C’era una bellissima riserva, sull’Appennino Emiliano, che amavo moltissimo.

Aveva l’ impagabile  vantaggio di essere un’unica proprietà terriera di un migliaio di ettari in concessione alla famiglia che ne era in possesso. Ovvio quindi che, da buoni amici dei proprietari, si cacciasse in assoluta tranquillità e, spesso, che si fosse gli unici ad essere a caccia. Molti i cinghiali, ma moltissimi i caprioli (almeno fino all’arrivo dei lupi). Potevate vedere anche qualche bellissimo cervo che all’epoca non era ancora cacciabile, ma offriva uno splendido spettacolo.

Alcune belle e comode altane, collocate nei punti strategici, offrivano la possibilità di interessanti uscite in luoghi montani selvaggi ed affascinanti cosicché, anche se non si fosse presentato l’animale che desideravate, non ci si annoiava mai potendo fare sempre interessanti osservazioni. Mi dava grande gioia, in quei luoghi, uscire con mio Figlio e vederlo acquisire esperienza e conoscenza nella valutazione dei capi; una scuola validissima anche quando taceva la carabina e scattava solo la fotocamera. Detto tra noi, è diventato un eccellente cacciatore, calmo, sicuro e sempre riflessivo.

Conoscevo ormai bene il territorio, ma una particolare altana era la mia preferita offrendo una splendida visuale su di un’ampia radura tra i boschi, posta sul fianco del monte ed aggettata sulla valle, consentendo così di controllare, col binocolo ed il lungo, un’ area molto vasta.

Era il tempo dell’apertura al capriolo e, quella volta, ero il solo a cacciare.

Vi ho già detto, credo, che da quando Vincenzo Perugini me lo ha costruito, ho sempre usato per il piccolo cervide, uno splendido “kipplauf” in un calibro poco comune ma efficientissimo: il piccolo ma potente 5,6 x 57. Non ho mai perduto un animale. La palla, una KS della RWS da 74 grani, è velocissima e molto tesa, seppure un po’ distruttiva alle brevi distanze. Morale: animali sempre caduti sul posto o dopo solo qualche passo.

Quella mattina decisi di arrivare in altana ancora al buio e di godermi l’alba ed in movimento degli animali in tutta pace. Partito con la land rover dalla bella villa in cui ero ospite, la parcheggiai dopi dieci minuti, sul crinale del monte, percorso da una comoda mulattiera. Conoscevo bene il sentiero e, anche al buio, discesi le poche centinaia di metri nel bosco per giungere in breve alla grande radura che avrei dovuto attraversare per recarmi all’altana. Essendo ancora buio totale, mi diressi senza esitazione alla mia meta e, salita la scaletta, mi sistemai nell’appostamento. Tolsi dallo zaino il lungo, lo sistemai in posizione comoda, caricai il fucile e lo appoggiai in un angolo e preparai la fotocamera dotata di notevole ingrandimento che porto sempre a caccia. Poi, controllata la direzione della leggera brezza, come sempre faccio appena giunto in postazione, accesi con gran piacere la pipa.

Questi momenti di pace assoluta, di attesa, di curiosità e speranza sono tra i più belli che caccia e natura ci possano donare. Strano come si possa essere in totale tranquillità ed al tempo stesso eccitati e tesi per quanto all’ improvviso può apparire, ma chi ama davvero la caccia nella sua espressione migliore certo capisce cosa intendo.

Davanti a me si estendeva la radura che, approssimativamente poteva essere lunga un trecento metri per una larghezza di circa duecento al punto più ampio.

Era ancora totalmente buio e per un po’ mi godetti la pace ed il profumato aroma della pipa.

Non passò molto tempo che, a luce crescente, tentai una prima esplorazione della radura col binocolo.

Mi accorsi subito che, verso la metà del prato e quasi sotto un albero solitario si percepiva una piccola macchia più scura. Avrebbe potuto essere un animale e mi proposi di ricontrollare con luce migliore. 

Quando controllai alcuni minuti dopo, vidi che si trattava di un capriolo sdraiato tranquillamente nell’erba. La luce non era ancora sufficiente per valutare di cosa si trattasse e così, tenendo a freno la curiosità, mi disposi ad attendere ancora.

Non ci volle molto perché potessi usare il lungo. Constatai che si trattava di un maschio, dotato, mi parve, di un apprezzabile trofeo. Il telemetro incorporato nel Leica 8×56 mi dava centosettanta metri. Un tiro quindi eccellente, se mi fossi risolto a tentarlo.

Dovetti attendere ancora un bel po’ perché l’animale si alzasse e potessi valutarlo meglio. Intanto la luce si era fatta buona. Rivalutai l’animale in piedi e mi confermai nella mia prima impressione: un bel maschio certamente adulto con un buon trofeo a sei punte. Faceva al caso mio.

Lentamente presi il fucile, trovai una ottima posizione d’appoggio, misi le cuffie e mi apprestai a sparare. Intanto il capriolo si era mosso giungendo fin quasi sotto l’albero al centro della radura. Quando si fermò in perfetta sagoma ed abbassò la testa per pascolare, traguardai appena dietro alla spalla e lasciai andare il colpo, certo di vederlo cadere sul posto.

Ma non fu così. L’animale alzo di scatto la testa, fece una breve corsa di una decina di metri ed abbassò di nuovo la testa come per pascolare. Ero esterrefatto, di certo l’avevo mancato anche se non capivo come. Ricaricai alla massima velocità, mi rimisi in posizione e tirai il secondo colpo. Il capriolo rialzò la testa e, trotterellando come se nulla fosse entrò nel bosco e scomparve. Non sapevo più cosa pensare: l‘avevo mancato di nuovo !

C’era solo una spiegazione: per quanto improbabile il Kahles 3-12×56 montato ad incastro sul fucile si era starato! La distanza era buona, l’appoggio ottimo eppure avevo sbagliato due volte di seguito.

Decisi subito di verificare.

Nel prato giacevano alcuni di quei rotoloni di fieno che usano oggi in agricoltura.  Uno era ad un centocinquanta metri dall’altana. Scesi velocemente e vi impigliai un fazzolettino di carta ripiegato. Tornai sull’altana e tirai un colpo. La palla aveva colpito esattamente il centro del fazzolettino. Non sapevo più cosa pensare !

Scesi velocemente dall’altana e mi diressi sull’anschuss. Niente sangue ne sul primo ne sul secondo colpo. In quattro salti fui sull’orlo del bosco dove, due passi più in la giaceva il capriolo morto. I due colpi erano a pochi centimetri uno dall’altro. Ancora oggi non riesco a spiegarmelo, specie avendo usato un attrezzo che aveva sempre fulminato gli animali sul posto.

Rimandai le indagini e preso il capriolo, me lo trascinai fin sotto l’altana.

Un po’ le emozioni, un po’ la fatica dato che il caldo si faceva sentire, decisi di tornare su, sedermi e farmi un’altra fumatina. E mi disse bene.

Non erano passati dieci minuti che un altro maschio buono quanto il primo, uscito dal bosco dietro di me, passò trottando in fianco all’altana per fermarsi 120 metri più avanti, in mezzo alla radura.

E quest’ultimo cadde sul posto !

Ricordo benissimo che, qualche tempo dopo, ebbi occasione di recarmi alla Bignami di Ora.

Parlando col mio carissimo Amico Carlo Berti, proprietario di quella splendida azienda, volli sentire la sua opinione di eccellente tecnico su quanto era accaduto col primo capriolo. Pensavo ad un errore di caricamento, a palle difettose o a chissà cos’altro.

La sua risposta mi lasciò di stucco:” A volte succede” mi disse” perché non sanno di essere morti” !

Michelangelo

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