IENE (ricordi d’Africa)

Il seguente brano è tratto dal mio libro “Là dove ho voluto andare” ormai esaurito, rivisto ed ora in prossima ristampa.

IENE AL CAMPO (la iena bastonata si vendica ma poi fa una brutta fine…)

Il campo, splendidamente realizzato in paglia sulla riva del fiume sotto un gruppo di enormi mimose, era davvero una bellezza, come tutti quelli della “Hunters Africa“.

Al centro era stato costruito il soggiorno/pranzo, bella tettoia di paglia sapientemente intrecciata con due lati chiusi ed una splendida vista sul fiume.

Davanti era il “fire place”, focolare delimitato da grossi sassi e circondato da poltroncine da regista, per gli aperitivi e le chiacchierate serali.

Una decina di metri sulla destra, un recinto semicircolare nascondeva la cucina e la dispensa, disposte a cerchio attorno al focolare centrale ed al forno di terra.

Quattro spaziose “paiottes”,capanne di pali e paglia, dotate di letti, guardaroba e bagno, ospitavano i cacciatori ed i loro accompagnatori.

Tutto il campo era delimitato da un “muretto” di paglia alto un metro, con alcune aperture sull’esterno.

Il campo di cui si parla ed il compagno d’avventura

Un campo africano, si sa, odora di cibo e provviste, e lo “skinning place”, un po’ discosto, di carne e frattaglie e di tutto ciò che, di cruento, circonda la caccia.

Un invito a nozze per le iene che, come dovevo imparare, mostrano per l’uomo un timore assai inferiore alle nostre aspettative.

Era il primo safari della stagione ed era un safari lungo. Qualche tempo dopo il nostro insediamento quindi, il campo cominciò ad essere una vera attrazione per le iene, numerose in quell’area.

Cominciarono ad avvicinarsi di notte, ululando e trottando attorno al recinto e fin qui, tutto nella norma.

Una notte invece, fummo destati da un infernale caciara: rumori di pentole rovesciate, di cose che cadevano, grida di neri, invettive e trottare di animali. Afferrati i fucili ci ritrovammo tutti nella zona della cucina, da cui erano provenuti i rumori, tra neri bercianti, pentole rovesciate ed un gran polverone.

Cosa era successo? Semplice: alcune iene, attirate dagli odorini che provenivano dalla cucina, non appena tutti si erano coricati, quatte quatte vi si erano infilate in cerca di un qualche bocconcino. Una di esse doveva però aver urtato un pila di pentole che era fragorosamente caduta spaventando gli animali; l’arrivo dei neri con le torce e le loro urla, avevano fatto il resto fino a che, pur nella gran confusione, le bestiacce avevano trovato l’apertura attraverso la quale dileguarsi.

La situazione era, in definitiva, divertente, e dopo averci riso su certi che spaventate le iene non sarebbero più tornate, ci rinfilammo tutti sotto le coperte.

Ma sbagliavamo i conti.

Qualche sera dopo, piuttosto tardi, io e P. (il fotografo) ci eravamo fermati a fumare ed a bere un ultimo whisky.  Chiacchierando sottovoce e godendo la magia della notte africana, si era fatto molto tardi e le fiamme nel fire place si erano abbassate.

Mi alzai per spingere un tronchetto nel fuoco e, con una brace, per accendermi l’ultima sigaretta.

Quando mi risedetti, nel vago bagliore che il tronchetto accendendosi aveva proiettato intorno colsi, ai limiti del campo visivo, un movimento.

Posi una mano sul braccio dell’amico e, indicandogli di far silenzio, ci voltammo a guardare.

Due grosse iene, sgattaiolando al limite de buio, stavano dirigendosi di soppiatto verso la cucina.

Io e P. ci guardammo e ci intendemmo subito.

Vicino alla recinzione i boys avevano fatto dei lavoretti e vi erano ancora alcuni attrezzi appoggiati ad una albero.

Io mi armai di un grosso paletto lungo un paio di metri e P. afferrò un badile. Comunicando a gesti ed in assoluto silenzio, ci dirigemmo ognuno verso una delle due aperture che mettevano nelle cucine. C’era un po’ di luna e, tutto sommato, le sagome si distinguevano.

Come fummo all’interno di quel recinto circolare, le due bestiacce, accortesi di noi, cominciarono a correre intorno per cercare di riguadagnare la savana; ciò facendo ci passarono accanto ricevendo l’una una terribile randellata tra coppa e collo e l’altra una non meno robusta badilata sulla schiena. Emettendo delle specie di guaiti, finalmente, e fu bene anche per noi due incoscienti, quegli animalacci di 70-80 chili trovarono la via d’uscita e si dileguarono nella notte.

Iena maculata (crocuta crocuta), la più grossa ed aggressiva tra le iene.

Soddisfatti e pimpanti, tornammo al fuoco, bevemmo un ultimo whisky e giurando che le iene non avrebbero più osato farsi vedere, andammo a letto.

Non fu  neppure necessario aspettare la notte successiva.

Un paio d’ore dopo dovemmo, di soprassalto, uscire dai fumi dell’whisky.

Un baccano infernale ed una incredibile confusione, rumori, tonfi, grida , venivano dalle cucine sì che pareva che vi si stesse tenendo un rodeo in stile texano!

Quando  vi arrivammo, la vendetta delle iene si era compiuta!

Tutto era sottosopra, le pentole rovesciate come i secchi d’acqua, le scatole di cartone e di legno leggero delle provviste distrutte e tutto il contenuto sparso, le scatolette e perfino le lattine delle bibite, morse e lacerate. Un vero massacro.

Mia moglie, sopraggiunta, guardava tra l’incredulo ed il divertito. Mi venne subito in mente l’immagine di una iena che addenta una lattina di coca-cola, mentre il liquido gasato le spruzza in bocca e nel naso.

Scoppiai in una risata, guardato male dai poveri boys che si aggiravano sconsolati tra tanta rovina.

Evidentemente le legnate non bastavano ed occorreva una escalation nelle nostra lotta privata con le iene.

Bene, se volevano la guerra ……..

Avevamo posto, in due luoghi promettenti, due bait per i leopardi.

Su di uno l’esca era costituita da una femmina d’impala, sull’altro da un giovane facocero.

Nonostante l’oculata scelta del luogo e le nostre speranze, nessun felino aveva curato le esche che, qualche giorno dopo, erano totalmente putrefatte e, per lo scopo originale, del tutto inutilizzabili.

Durante la pausa del mezzogiorno, mandai il vecchio Muduli e due boys a prelevare quei miseri ed “odorosissimi” resti dando ordine che fossero assicurati, con del filo di ferro, al piede di un albero in perfetta vista ad una cinquantina di metri dal recinto del campo.

Mia moglie, visibilmente inorridita, guardava i macabri preparativi con l’aria di chi pensa che qualcuno abbia preso troppo sole.

Il pomeriggio di caccia, in un giorno ventoso e strano, fu poco redditizio ed all’imbrunire eravamo già sotto la doccia in attesa di una lauta cena.

Eravamo in safari da ormai parecchi giorni e tutti non vedevano l’ora che giungesse il momento del meritato riposo notturno.

Tutti tranne me e P. che covavamo feroci sentimenti di vendetta contro le impudenti iene.

Essendosi ritirati i nostri compagni, dopo un’ultima sigaretta, il campo era piombato in un assoluto silenzio.  

                                                               Mi armai di un piccolo express Sodia sovrapposto in cal. 7x65R che mi ero portato per le antilopi ed affidai a P. la spotting light, il potente farodi cui era dotato il campo.

Non avemmo ad attendere molto perché, dopo una mezzoretta, il muoversi di sagome scure ed alcuni rumori ci rivelarono che l’odiato nemico era in azione.

Al mio tocco di gomito P. accese il faro, il potente fascio di luce illuminò la scena. Un istante dopo sparai due volte in rapida successione. Delle grosse iene che si contendevano i miseri resti, una ruzzolò nella polvere e rimase immobile, l’altra si trascinò per pochi metri prima di rendere la sua fetida animaccia.

Giunti sul luogo mi accorsi che una delle due bestiacce era eccezionalmente grossa e volli pertanto farne prelevare il cape per una successiva preparazione.

I neri, con molta riluttanza, trascinarono le due carcasse fino alla capanna dello  skinner che, anche lui, si mostrò molto poco felice del lavoro che gli ordinai e che comunque, lasciò l’animale indicato per il lavoro fuori dalla sua tettoia.

Alcune tribù, quando qualcuno giunge alla fine dei suoi giorni, usano deporne le spoglie all’esterno del villaggio, affidando così alle iene il vero e proprio incarico di becchini.

Ciò le rende, in qualche modo, sacre e collegate con l’aldilà. Di qui la riluttanza ad ucciderle e a maneggiarle.

Credenze e superstizioni a parte, comunque, da quella sera nessuna iena tentò più di introdursi nel campo.

Michelangelo

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