CACIA ALLE ANTILOPI

Bella e impegnativa, faticosa o rilassante, paziente o talora frenetica; ecco la caccia alle antilopi.

Quando alla fine il vostro tiro ben diretto farà cadere una di queste meravigliose creature, quando l’avrete ai vostri piedi, niente e nessuno potrà evitarvi un rimpianto, un disagio per quel filo spezzato, per quella grazia spenta.

Ma questa è la caccia e se ne potrebbe discutere fino alla fine dei secoli.

Ricordo che tanti anni fa, tirai alla mia prima antilope africana, una comunissima impala. Tremavo allora come una fo­glia e l’emozione mi faceva oscillare il reticolo.

Sono passati alcuni de­cenni ma an­cora adesso quando ho nel reticolo un’antilo­pe particolar­mente bella, con un trofeo ecce­zionale, riesco a provare un’emo­zione e un ner­vosismo che non ritrovo, ad esempio, con grossi animali pericolosi.

Andare per savane con calma, godendo di tutto e cercando tutto e niente, sof­fermandosi a scrutare ogni animale, a sentire suoni e odori, a far scattare più l’obiettivo che il percussore, a gustare che siete finalmente lontani dalle quo­tidiane miserie, questo è il substrato sul quale d’improvviso fiorisce l’emozione: l’avvistamento di un maschio partico­larmente bello.

E allora i sentimenti cre­scono nel contrasto, come 1a guerra nella pace. L’istinto prepotentemente prevarica e lo volete con tutte le forze, come se dovesse essere l’ultimo ma­schio cui tirerete.

La pace diventa astu­zia, la quiete agguato, la calma fatica e corsa.

Non vi è niente che possa paga­re questi momenti.

Ricorderete sempre la stretta al braccio del vostro accompagnatore: «È lui, tira…». Ricorderete sempre l’ultima immagine prima che colpo e rinculo cancellino tutto. Ricorderete sempre l’esultanza ve­nata di rimpianto o la delusione accompagnata da nuo­va speranza.

È una delle cure migliori per l’insonnia degli anni a venire. Non riacquisterete i1 sonno che noi, uomini civili, ci fac­ciamo togliere dalla quotidianità, ma al­meno popolerete quelle ore vuote di splendidi ricordi.

E visto che si invec­chia, è questo il miglior patrimonio che possiamo accumulare.

Vi racconterò, scelto nei molti ricordi, qualche episodio di caccia a queste splendide creature.

UN KUDU

Cacciavo, alcuni anni fa, in una meravigliosa zona di montagna nel nord del Sudafrica, al confine col Botswana.

Dire “cacciavo” è forse eccessivo. Facevo delle meravigliose passeggiate, godevo di paesaggi, albe e tramonto stupefacenti. Ero ospite dei proprietari di quest’ immensa tenuta, amici da decenni, cui mi legavano affetto e stima. (Ho usato il passato perché una sorte maligna se li è portati via).

Godevo di totale libertà, mi era stato assegnato un giovane e bravo boy nero che conosceva bene il terreno, amava la caccia ed era un buon tracciatore.

La farm era posta in alto, alla fine di una larga vallata, in un luogo davvero incantevole. Bastava uscire dal recinto di casa e si era in pieno bush, ad anni luce dalla civiltà.

Talora uscivamo presto, io con il mio vecchio 7 Remington, Josh, il giovane nero, con uno zaino contenete dei sandwiches, una fotocamera, un coltello, una fiashetta di brandy, una piccola radio. L’acqua non era un problema essendovi nelle montagne alcune purissime sorgenti perenni la cui ubicazione il mio bravo nero conosceva alla perfezione.

Gavin mi aveva espressamente chiesto di sparare ad un Kudu con un grande trofeo. Aspettava un cliente che, bravissima persona, era però un cacciatore assai maldestro. Se non fosse riuscito a procurarselo lui, avrebbe così avuto il grande kudu cui teneva moltissimo.

Quella mattina eravamo partiti a buio, abbassandoci di quota verso una zona fratta di vallette poste in successione come una serie di ondate pietrificate, dal fondo coperto di alte erbe. Josh sapeva che erano frequentate da grossi kudu.

E doveva aver ragione se, affacciandoci con prudenza da un crinalino roccioso, fummo sorpresi dalla fuga precipitosa di un kudu che attraversò tutta la valle, scomparendo oltre il successivo crinale.

Era stato però in vista quanto bastava perché, col binocolo, mi rendessi conto che il trofeo era davvero eccezionale: proprio quel che ci voleva per Gavin ed il suo cliente.

La brezza continuava a spirate da dietro di noi per cui, se avessimo voluto cercare il kudu nella valle successiva, dove quasi certamente si sarebbe fermato, avremmo dovuto fare un largo giro.

Poiché era ancora molto presto, facemmo due considerazioni: con l’avanzare del giorno i grossi kudus tendono a salire per trovare un posto riparato ove trascorrere le ore più calde; alzandosi il sole, la brezza avrebbe preso a spirare da valle a monte.

Occorreva dunque aggirare la valletta dall’alto per affacciarsi alla successiva ed avere qualche possibilità di rivedere il nostro animale.

Fu più facile a dirsi che a farsi. Il terreno salendo si era fatto roccioso, con massi di granito e sfasciumi frequenti. Il giovane nero vi volava sopra, ma io, con i miei cento e rotti chili e trent’ anni di più, a volare proprio non ci riuscivo.

Come Dio volle, arrivammo al punto prefissato. Ero fradicio e, prima del vicino crinale, mi sedetti a prendere fiato. Il fumo della mia sigaretta, indicava, che, come previsto, il vento spirava verso monte.

Poco dopo ci portammo innanzi e, stando sdraiati sulla roccia, avemmo una visione completa della valletta sottostante, non troppo profonda e fitta di cespugli ed erba alta.

Cominciammo a scrutare la zona, io col binocolo e Josh con la sua vista eccellente. Nulla.

Pareva proprio che del vecchio maschio non vi fosse traccia.

Poi, d’improvviso, il sole venne riflesso per un istante da qualcosa, tra i cespugli e l’erba alta del fondo valle.

Il kudu, che era immobile nel fitto, aveva mosso leggermente le corna rivelandoci, come spesso avviene con questi animali, la sua posizione.

 Riuscivo, col binocolo, a distinguere solo una parte della grande curva di un corno ad un paio di centinaia di metri da noi, ma, per quanto mi consumassi gli occhi, nessuna parte del corpo ove tirare. Ad ogni buon conto, posi lo zainetto sulla roccia e vi appoggiai il fucile. Il tempo passava senza modificare la situazione. Poi, d’improvviso, l’animale, forse per brucare un rametto, fece un paio di passi mostrando, tra due cespugli parte del collo e la spalla destra.

Portai l’ingrandimento al massimo, traguardai appena dietro alla spalla e lasciai partire il colpo augurandomi in cuor mio che fosse il grande animale che avevamo visto.

Uscito dal cespugliato, corse per qualche decina di metri e crollò nelle alte paglie.

Riarmai immediatamente e mi tenni pronto, ma nulla si muoveva. “Dead” disse Josh e si avviò. Quando giungemmo dove giaceva il vecchio ed imponente maschio, davvero mi dispiacqui  di non poter tenere qual bellissimo trofeo; era grosso, lungo, regolare e con spire profonde, perfettamente simmetrico: una meraviglia. Ma un gentiluomo ha una parola sola……..

Michelangelo

Note informative: IL KUDU MAGGIORE  (Tragelaphus strepsiceros)

Questa splendida antilope è animale di grossa taglia: l’altezza al garrese può superare i 160 cm. ed il peso, nei maschi può superare i 300 kg.; nelle femmine, più minute e prive di corna, il peso giunge ai 200 kg. Il colore del manto varia da un grigio medio ad un bruno rossastro con strisce bianche ai lati del corpo.

Le magnifiche corna a “cavatappi” sono, in media ed in capi adulti, della lunghezza di circa 120 cm. Il numero uno al mondo (Rowland Ward) misura oltre 180 cm.

Se ne riconoscono tre sottospecie, con qualche differenza di dimensioni e colorazione.

Le loro aree preferite sono le rade foreste e cespugliati piuttosto fitti, anche lontano dall’acqua. Stanno volentieri in zone rocciosa e collinari, ove i vecchi maschi solitari passano il giorno in alto tra la vegetazione, per scendere al far della sera, la specie è prevalentemente notturna, per l’abbeverata, ( se vi è acqua disponibile) ed il cibo o per raggiungere i branchi di femmine e giovani durante gli amori.

Si cibano quasi esclusivamente di foglie di un gran numero di diversi alberi. Nelle zone più aride (es. Namibia) la loro fonte di liquidi sono piccoli meloni selvatici.

Sono animali forti e veloci e possono saltare anche ostacoli di 2 metri d’altezza. Le loro carni sono ottime.

Hanno sensi molto sviluppati e, date le zone preferite, la loro caccia è tutt’ altro che facile, ma proprio per questo entusiasmante. 

Una buona carabina in 7 rem, 300 Winc, 8×68 S, sempre con palle pesanti e preferibilmente a doppio nucleo, sarà l’attrezzo più indicato.

Gli “economici” safari in Sud Africa e Namibia offrono ottime possibilità di procurarsi questo fantastico trofeo, forse il più bello d’ Africa.

(Vi è anche il Lesser Kudu o Kudu minore, molto più piccolo ed in aree diverse, difficile da cacciare ed in safari dai costi stratosferici).

Un meraviglioso vecchio maschio ottenuto sul confine del Botswana

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