Il sudore mi ruscellava lungo il viso, impastandosi con la polvere che ormai ci ricopriva. Stentavo a respirare ed ancora più difficile era evitar di tossire o di starnutire dovendo, data la posizione in cui ci trovavamo, non rivelare nel modo più assoluto la nostra presenza. Avanzavamo carponi, io ed il mio secondo tracciatore Hassir, su di un terreno cespugliato, con qualche rado albero e disseminato di tronchi caduti e rami spezzati dagli elefanti che, evidentemente qualche giorno prima, avevano visitato quell’area schiantando, per potersi cibare di tenere foglie e germogli, alberi e grossi rami. Tutto attorno a noi stava pascolando un numeroso branco di bufali equinoziali, forse un cinquanta o sessanta capi che, fino a quel momento, non si erano accorti della nostra presenza.
Nel tentativo di avvicinarci al grosso maschio dall’imponente trofeo che avevamo individuato in precedenza, eravamo finiti, quasi senza accorgercene e complice una totale assenza di vento ed il terreno disseminato di ostacoli, nel bel mezzo del branco che, secondo l’abitudine di questi animali, stava pascolando muovendosi lentamente e sollevando una nuvola di polvere. Proprio quella polvere ci aveva rivelato la presenza dei bufali da una discreta distanza, mentre eravamo su di una piccola altura, poco dopo il sorgere del sole, con l’intento di ritrovare quel gruppo di cui conoscevamo la presenza su quella vasta pianura bordata di colline granitiche, nel nord est del Centrafrica Quando si cercano bufali in una area ove si è determinata la presenza di un branco, è la polvere che spesso rivela l’ubicazione degli animali. Era, per quella zona, un branco grosso stante che, fino ad allora, avevamo incontrato gruppi di non più di dieci o quindici capi e con un numeroso gruppo di animali occorre sempre moltiplicare attenzione e prudenza per non essere individuati e provocarne, con ciò stesso, la fuga. Trovandoci in mezzo al branco inoltre, provocarne una fuga precipitosa non era esente dal rischio, nella confusione generale e nel polverone alzato, di essere travolti da qualche animale. Avevo armai raggiunto una posizione che ritenevo vicina all’enorme maschio e mi preparavo ad alzarmi, con tutta la prudenza del caso, per poter vedere meglio ed eventualmente sparare. Mi volsi lentamente verso il tracciatore che mi seguiva, non so quanto volentieri, come un’ombra, quasi a chiedere la sua opinione ma egli, con un gesto della mano appena accennato, mi indicò qualcosa dietro di noi.
Il branco, pascolando, si muoveva lentamente dalla nostra destra verso la nostra sinistra e noi, essendo carponi, avevamo perduto da tempo la visione d’insieme e non sapevamo quanti animali fossero passati. Fortunatamente il gesto di Hassir mi aveva fermato in tempo. Girando la testa lo stretto necessario individuai, tra i cespugli dietro di noi, quattro o cinque grosse masse scure.
Sparare, avendo dietro un numero imprecisato di animali, poteva senz’altro esporci al rischio di trovarceli addosso dato che questi, normalmente, partono nella direzione verso la quale sono rivolti. Cominciai a pensare di non aver avuto una brillante idea nell’intrufolarmi nel bel mezzo del branco in quella maniera e, per la prima volta, distolto per un attimo dal mio obbiettivo, un certo disagio cominciò a far capolino nell’animo del “grande cacciatore” sprezzante del pericolo. Ma tant’ era, la passione e la giovanile incoscienza mi avevano portato fin là ed occorreva, comunque fosse, trarsi d’impaccio possibilmente con le ossa intatte.
Mi guardai attorno, per quanto fosse possibile in quel polverone, alla ricerca di una soluzione. Davanti a noi, a meno di una decina di metri, un grosso tronco caduto stava a terra sostenuto ad una certa altezza da alcuni rami che non si erano spezzati. Quello avrebbe potuto fornirci un buon riparo. Tutto attorno, velata di povere, si intuiva la presenza dei grossi animali: grugniti, brevi muggiti. L’aria era satura del forte odore bovino del branco. Ricominciai a muovermi penosamente carponi, tallonato da Hassir che aveva intuito la mia intenzione. Speravo proprio di non rovinare, all’ultimo momento, una manovra che, per quanto avventata, si era rivelata perfetta. Mi parve che trascorresse un’eternità ma, come Dio volle, in qualche minuto ci ritrovammo coperti dal provvidenziale tronco. Mi assicurai che anche Hassir fosse al riparo e, lentissimamente, mi misi prima in ginocchio e poi in piedi. Davanti a me c’erano molti animali sparsi tra i cespugli. Uno di questi, distava forse una decina di metri, alzò la testa. Era il mio maschio. L’immagine delle sue grandi corna, al di sopra della polvere, grosse, possenti con le due aguzze punte rivolte in alto e leggermente indietro, è rimasta come una foto stampata nella mia memoria. Una visione ed un’emozione indicibili.
Imbracciai ringraziando l’idea che avevo avuto di togliere l’ottica che, completamente impolverata, forse mi avrebbe impedito di tirare. Traguardai velocemente verso quello che, nella polvere sospesa nell’aria, mi sembrava il punto giusto e lasciai partire il colpo. Mentre riallineavo con la massima velocità, si scatenò il finimondo. Un’ orda di grossi corpi scuri lanciati in corsa passò tutto attorno a noi sollevando un polverone che ci nascose ogni cosa. Senza riuscire a vedere nulla, sentimmo il branco in fuga allontanarsi. In pochi minuti tutto fu silenzio in quella polvere che il sole, ormai alto sull’orizzonte, tingeva di arancio.
Quando la visibilità fu di nuovo accettabile, uscimmo dal nostro provvidenziale riparo e ci dirigemmo verso il punto in cui il maschio doveva aver ricevuto la mia palla. Nessun animale in vista. Evidente, sul terreno, lo scarto del bufalo e la sua direzione di fuga. Sangue non se ne vedeva.
Hassir passò in testa e ci mettemmo sulla traccia con tutta la prudenza e l’attenzione che il caso richiedeva. Non avemmo ad andar per molto. Percorsi forse un duecento metri scorsi il grosso animale davanti a noi. Ci fermammo ed affiancai Hassir per portarmi in testa. Proprio in quel momento il maschio cadde sulle ginocchia per rovesciarsi subito dopo, con un ultimo muggito, sul fianco sinistro. Mi avvicinai velocemente e piazzai un secondo, forse inutile colpo, tra le scapole del bufalo. Nessun movimento, era morto.
Hassir mi affiancò e, con un sorriso bianchissimo sul suo viso impiastricciato di sudore e polvere, mi afferrò la mano scuotendola come un forsennato. La tensione si dissolse in un attimo. Potevo ora, con tutta calma ammirare il mio meraviglioso trofeo. Era davvero eccezionale: massiccio, larghissimo, possente. Il più bel equinoziale che avessi mai visto. (Risultò essere, infatti, il miglior bufalo ottenuto in quella regione negli ultimi anni e, per molti altri, rimase imbattuto.)
Dopo la gauloise di rito, spedii Hassir a recuparare la macchina che, con Hakim lo chaffeur e Ramadan il primo tracciatore, avevamo lascato piuttosto lontano, ove si stava preparando un bait per i leoni.
Feci ancora un giro attorno alla mia meravigliosa preda rivolgendole un muto ringraziamento per avermi fatto, nel rito della caccia, dono della sua vita. Mi sedetti su di un tronco, appoggiai l’express, accesi un’altra sigaretta e lasciai che L’Africa, con le sue emozioni e la sua meraviglia, mi invadesse cuore e mente cancellando lo scorrere del tempo in uno di quegli attimi di eternità, meravigliosamente sospesa tra realtà e fantasia, che questo incredibile continente sa regalare con tanta intensità.
Michelangelo