Da una vita mi chiedono quali siano per me le cacce più belle ed interessanti. Ed è una vita che rispondo che la prima è quella al Bufalo cafro in terreni vegetati; unisce fatica, abilità, decisione e coraggio, in altre parole occorre saperci fare e, nel caso che un accompagnatore vi guidi, occorre che lui ci sappia fare e che voi lo obbediate ciecamente.
Ricordiamo che questa è una attività dove si rischia l’incolumità od anche la vita; ricordate sempre che la parte migliore del coraggio è la prudenza, ma che un po’ di vero pericolo rende la vostra azione assai più eccitante e degna di ricordo. Anche quando sarete vecchi come me, sognerete ancora quei momenti.
La seconda caccia per bellezza, giudico sia quella al Camoscio in alta montagna. L’elemento principe è la maestosità dell’ ambiente: sbalorditivo, meraviglioso, faticoso e talora pericoloso, duro sotto tutti gli aspetti, fisico, della valutazione del capo, del tiro di solito lungo. Occorre essere ben allenati e sapere esattamente cosa si fa. Ma il ritorno, stanchi morti, col vostro camoscio sulle spalle, sarà uno dei momenti più belli delle vita.
La terza caccia riserva emozioni forti, attese snervanti, camminate lunghe ed attente, valutazioni precise e veloci ed uno dei più bei trofei del mondo. La caccia al cervo nel periodo del bramito.
Di caccia al bramito voglio raccontarvi, ricordando una giornata speciale con due buoni cervi e due colpi altrettanto buoni. Spero vi possa interessare.
Per la caccia al bramito, ci siamo recati più volte in un luogo meraviglioso in Croazia, lungo il corso del Danubio, nella zona di Belje/Troga. L’imponente argine maestro del grande fiume dista chilometri dal corso d’acqua nelle sue condizioni normali. Nell’enorme golena, tra argine e fiume, si stende un territorio interessantissimo di foreste, tagliate, canali, laghetti, paludi, fitti cespugli. Il vero regno dei grandi cervi. Andarci nel pieno del bramito, con la “musica” dei cervi al massimo, è un’ emozione che fa tremare cuore e mani.
La foresta di salici e roveri, a volte fitta, talora più rada
Il bramito in quella zona comincia piuttosto presto e noi, mio Figlio ed io con un paio di carissimi amici, eravamo già sul posto nella prima settimana di settembre.
All’epoca non era ancora tutta autostrada ed era una bella guidata di 10 ore. Giungemmo alla locanda che ci ospitava nel tardo pomeriggio ed in lontananza si sentivano un paio di cervi bramire.
Io amo prendermi il mio tempo e quella sera desideravo solo una doccia, una cena ed un buon letto. Bramissero pure.
Avevamo portato due carabine: il Dumoulin 8×68 che mio Figlio non lascia mai ed il mio amato Perugini in 7 Rem. Avevo da poco comprato un bellissimo Sauer in 9,3×62, ma non essendo ancora inserito nella carta europea, dovetti lasciarlo a casa. L’8×68 usava palle Norma A/frame da 200 grs., per il 7 mm. invece avevo optato per le Federal TBBK da 175 grs., essendo la Federal “Trophy bonded bear claw” una delle mie palle preferite.
Quell’anno faceva ancora piuttosto caldo ed il bramito era davvero fiacco, un po’ più consistente al mattino, ma scarso alla sera. Così i primi due giorni, nonostante le attesa in altana ed i tentativi di avvicinamento, non combinammo nulla.
Uno dei numerosi canali, a volte valicabili con preoccupanti ponticelli di tronchi, a volte aggirabili con lunghe camminate.
Il terzo giorno, mio Figlio decise di dedicare la mattina al sonno e così partii da solo. Portai con me, però, l’8×68 di Federico lasciando a casa il 7 Rem.
Mi accompagnava un simpatico e giovanissimo ragazzo locale non certo espertissimo, ma pieno di buona volontà. D’altronde di me si fidavano e mi lasciavano anche andare da solo, in quell’occasione però la presenza del ragazzo si rivelò davvero utile. Partimmo a buio pieno, non senza esserci spalmati di crema anti zanzare che qui sono un vero tormento.
Spunta l’alba sui canali ed i laghetti del Danubio
Dopo un paio di chilometri in macchina ed un altro a piedi, ci inerpicammo su una delle frequenti altane che costellavano il territorio, ponendoci in ascolto di eventuali bramiti. Per subito nulla, poi in lontananza un cervo bramì, appizzai le orecchie e dovetti capire che era molto lontano ed aveva una voce poco promettente. Dato che altro non si sentiva, decidemmo di tentare un avvicinamento.
Ci stavamo alzando quando un possente bramito esplose in un punto assai più vicino. Fermi tutti !
La voce era possente e molto bassa ed il bramito si alternava a dei brevi “ooh, oooh”, come di solito fanno i vecchi cervi. Ci guardammo annuendo e, dato che il cervo non pareva muoversi, decidemmo di muoverci noi. Chiesi al Ragazzo se sapeva come fosse il terreno laddove bramiva il cervo; mi rispose che, essendo noi piuttosto vicini all’argine, l cervo probabilmente stava imboscato appena oltre l’argine stesso dove boschetti si alternavano a prati e coltivi. Decidemmo di tentare un avvicinamento. La luce ormai era più che buona. In pochi minuti giungemmo sull’argine e mi trovai davanti al seguente paesaggio: l’argine scendeva obliquo per una decina di metri, alla sua base correva un fossatello bordato di salici.
La visuale dall’ argine del danubio
Nella vasta piana antistante, sulla sinistra un boschetto e una zona di alti cespugli che confinava, dinnanzi a me, con una prateria nolto vasta della quale vedevo un 200 metri prima che i salici me la nascondessero. Un po’ di nebbia ristagnava ancora nella bassura. Proprio nel boschetto alla mia sinistra continuava a bramire il cervo, ma non si muoveva dalla sua posizione. Pensai che, data l’ora avanzata, non avrebbe bramito ancora per molto ed avvicinarlo in quel terreno era praticamente impossibile anche se la brezza era buona.
Me la vedevo male, ma siccome la necessità aguzza l’ingegno ebbi un’idea. Chiesi a Schipa (tale era il suo nomignolo) di fare un largo giro e di entrare nel boschetto del “bramente” dall’altra parte procedendo lentamente ed in silenzio, tanto sarebbe stato anticipato dalla brezza. Con la sua consueta buona volontà Schipa partì ed ero certo che avesse capito alla perfezione. Mi apprestai ad una attesa abbastanza lunga dato che tutta la manovra sarebbe durata un tempo non breve. Intanto il nostro, seppure con minor frequenza, continuava a bramire. Camerai il colpo e mi appoggiai ad un grosso palo, forse il pezzo di una vecchia altana crollata, non senza aver regolato l’ottica sui 7 ingrandimenti, come faccio quando non so cosa aspettarmi. Il giro che avrebbe dovuto fare Schipa richiedeva del tempo e , data la direzione del vento, accesi un sigarello e lo finii. Non saprei dire quanto tempo fosse passato, mentre il cervo continuava saltuariamente a bramire.
Poi non mi giunse più il bramito, attesi qualche tempo, ma silenzio ed allora mi misi in allerta. Dopo poco del bosco e dal cespugliato uscì un cervo bello, ma secondario e si diresse, allontanandosi, verso un altro bosco, fu seguito poco dopo da una femmina. Non ero convinto che il maschio che si era allontanato fosse l’autore di quel bramito e restai immobile.
Dal fitto , due minuti dopo, uscì un grosso e vecchio cervo, ricordo ancora il grande trofeo con palchi nerissimi e punte bianche che si stagliava sopra la vegetazione. Come raggiunse il prato, o perché mi aveva visto o perché Schipa era uscito dal bosco, partì di gran carriera sfilandomi sul prato ad una distanza che stimai tra i 90 ed i 110 metri. Il trofeo era bellissimo e l’Africa aveva fatto di me un discreto tiratore, imbracciai, portai la croce del reticolo appena sotto il “mento” del cervo e lasciai andare il colpo.
Con il carissimo amico Walther, detto Waltheron date le dimensioni.
Perfetto organizzatore di tutte le mie cacce in Slovenja e Croazia
Pur continuando a correre l’animale dette una evidente “stretta” che mi convinse a non sparare più, sicuro come ero del mio colpo. D’altronde sapevo che avrebbe percorso un certo tratto: era già in corsa, pieno di adrenalina e si era accorto di noi. Corse per un centinaio o più di metri, entrò in un campo di girasoli, rallentò, si fermò barcollando e crollò a terra senza più muoversi.
Presi la fiaschetta dallo zaino e brindai al mio cervo, poi mi sedetti sull’argine ed accesi un sigaro. Guardai l’orologio, sembrava passato un secolo, ma non erano neppure le 10 del mattino. Chiamati per radio dal ragazzo, ci raggiunsero gli altri con l’attrezzatura per il recupero.
Ecco il forte trofeo. Il punteggio si ferma a tre punti dall’oro per un oculare
spezzato: 207 pinti C.I.C. peso trofeo circa 10 Kg. Peso animale vicino ai 300 kg.
Ma per quel fortunato giorno non era ancora finita. Tornato alla locanda, trovai Federico bello riposato davanti ad una ricca colazione. Sedutomi al suo tavolo, ne ordinai una anche per me e raccontai tutta la storia della mattinata di caccia. Federico disse che , nel pomeriggio, sarebbe uscito a caccia anche lui e che era d’accordo con Walther di fare una passeggiata lungo il Danubio per vedere il grande fiume e tentare la sorte con qualche incontro. Tranquillo per la presenza di Walther approvai e decisi, data l’ora, di farmi un pisoletto ritempratore.
Federico e Walther partono per la loro esplorazione
Al mio risveglio i miei due erano appena partiti per la loro “spedizione” lungo l’imponente Danubio e naturalmente Federico si era portato il suo amato 8×68.
Mandai a chiamare Schipa e gli chiesi se fosse disposto ad una uscita serale. Accettò immediatamente, un po’ perchè mi si era affezionato ed un po’ per…….. le buone mance. Mi disse che aveva fatto un giro la sera prima e credeva di sapere dove uno dei pochi cervi in bramito si faceva sentire anche alla sera. Non sapeva che cervo fosse, ma potevamo tentare. Il luogo non era lontanissimo, ma dopo un tratto in macchina, avremmo dovuto procedere a piedi dato che il bosco era una ricrescita molto fitta. Tentiamo, dai !
Lasciata la macchina, fu davvero un’impresa attraversare per circa un chilometro quella fittissima ricresciuta, ma come Dio volle ne uscimmo. Davanti a me un avvallamento del terreno largo un trentina di metri e lungo alcune centinaia, con erba bassa, qualche ciuffo di canne ed un rigagnolo d’acqua al centro; sulla sinistra un vecchio bosco di roveri bordato da salici, quello in cui Schipa diceva di aver sentito il cervo, sulla destra la fitta ricresciuta appena attraversata.
Eravamo appena scesi dalla scarpata tra rade canne, quando un cervo bramì nel bosco a sinistra. Niente brezza, niente altane. Il cervo continuò a bramire ma non pareva volesse muoversi dal luogo dove si trovava.
Avvicinarlo, in quel fitto, quasi impossibile. Dopo una mezz’ora, con l’animale che continuava a bramire, capii che avrei fatto notte senza vederlo. Non ho mai imparato a chiamare imitando il bramito, così pensai ad un’altra soluzione.
Schipa aveva già capito e facendomi un ampio gesto si preparò a partire per la seconda “parata” della giornata. L’ avvallamento di terreno sgombro davanti a me curvava a destra e probabilmente finiva li. Telemetrai la curva ed il binocolo Leika mi diede 160/170 metri. Non vi erano appoggi naturali e così piantai a terra il mio bastone da caccia e tenendoci una mano appoggiai l’astina del 7 Rem. sulla forcella
Non cera che da aspettare e sperare. L’attesa però non fu molto lunga. Dopo una ventina di minuti , senza il minimo rumore ed apparentemente tranquillo un bel cervo uscì dal bosco e trotterellando poco più che al passo si avviò per attraversare il corridoio e dirigersi nel folto dall’altra parte. Era sulla linea dei 160 m. Valutandolo velocemente mi resi conto che non era un mostro, ma il trofeo era molto ben formato e giudicai che fosse sicuramente un argento. Il giorno dopo saremmo ripartiti e così decisi di tirare. Il cervo non si era accorto di nulla e procedeva lentamente. Dall’appoggio del bastone diedi un minimo anticipo e lasciai andare il colpo. L’animale si impennò sull’anteriore agitando le zampe e, ritoccata terra, sparì nella ricresciuta fitta.
Certo del mio colpo e della reazione, valutai che venti o trenta metri più in là il cervo fosse caduto. Accesi un sigaro e, pian piano, mi avviai. In quella, dal bosco, emerse Schipa con un sorriso da un orecchio all’altro. Il trucco aveva funzionato ancora.
Entrati nel fitto, trovammo il cervo 15 metri dopo. La mia amata palla Federal aveva lavorato bene. Chiamammo la squadra di recupero, non facile in quel fitto e ce ne uscimmo sulla prima strada in attesa di macchina, rimorchio, verricello ed uomini. Con non poca fatica riuscimmo a tirar fuori l’animale ed a caricarlo, poi tutti alla casa di caccia. Io inoltre ero molto curioso di sapere cosa avesse combinato Federico. La risposta la ebbi nel cortile ove una carcassa di cinghiale era appesa al verricello. Era senza testa, scuoiata e senza zampe, ma mi sembrò una cosa enorme. Gli sciagurati non l’avevano pesato ne fotografato, ma mi assicurarono che di certo superava i 300 kg. Federico che, tranquillo, stava bevendosi una rakia mi raccontò di averlo sparato proprio sulla riva del Danubio e che, fulminato, era caduto in acqua tanto da doverlo arenare in qualche modo perché non se lo portasse la corrente.
Era davvero felice perché una preda così, per uno come lui che ama il cinghiale, era davvero il massimo. Un altro paio di rakie ?
Punteggio 185,5 punti C.I.C. peso del trofeo circa 6 kg.
Michelangelo