LA NOTTE DEL LEOPARDO

leo vivo

La stretta valle rocciosa si addentrava, aspra e selvaggia, nei primi contrafforti della catena montuosa. Fittamente boscosa sulle ripide granitiche pareti, aveva il fondo piatto e sabbioso, già in ombra alle quattro del pomeriggio; era fresca, silenziosa ed un po’ inquietante.

FEDERICI 001

Entrammo nel piccolo blind di lunghe paglie, ci sedemmo in assoluto silenzio, controllai un’ ultima volta il mio fucile e dopo uno sguardo di intesa con mio Figlio, ci apprestammo a una attesa che non sapevo quanto sarebbe durata.

Davanti a noi, una cinquantina di metri, il grosso ramo di un imponente albero attraversava quasi orizzontalmente tutta la luce della parte più stretta del canalone. Sulla corteccia biancastra spiccavano netti la sagoma e il colore dell’impala che vi avevamo legato: il bait.
Nella luce ancora buona si poteva distinguere la parte nerastra ove il leopardo aveva, !a sera precedente, preso il primo pasto. Sarebbe tornato? Rivedevo le impronte trovate quella stessa mattina ai piedi dell’albero e le profonde unghiate sulla corteccia: sicuramente un grosso maschio.
L’eccitazione cominciava a danzarmi in petto. Avrebbe avuto tutto il tempo di calmarsi.

La luce svaniva piano. Tutto il mistero, il fascino e la sottile, magica alienità della notte africana erano lì, si erano chiusi su di noi con il buio che si era fatto totale. Il tempo non esisteva più, l’unica sensazione del suo trascorrere era il lento ruotare delle stelle tra i rami dell’albero che ci sovrastava.

Federico dormiva, avvolto nulla coperta che avevo portato per lui, cedendo alle esigenze dei suoi dieci anni. Forse stavo lentamente scivolando anch’io nel torpore.

D’improvviso, ecco, verso la sommità della collina a destra un babbuino grida l’allarme e lo ripete due, tre volte. La fiera si è mossa dal suo rifugio, forse si mette in caccia. Sveglissimo, teso, ascolto la notte.
Più in basso e quasi alle nostre spalle un bushbuck abbaia. Se il leopardo raggiunge l’esca da dietro di noi, la leggerissima brezza di monte potrebbe portargli il nostro odore, vanificando tutto il nostro lavoro. Il tragelafo abbaia ancora. Poi, per un po’, più nulla.

Per un momento la brezza cade e allora, a destra ed un po’dietro di noi, sulla sabbia del fondovalle, sento l’ansimare dell’animale fermo e vicinissimo. Non mi accorgo quasi dei suoi movimenti. Dov’è?  Sospetta l’insidia?

Poi, liberatorio, il rumore delle unghie sul tronco, l’animale è al bait. Seguono i rumori di pelle lacerata e di ossa spezzate: sta mangiando. Una mano stringe il fucile contro la spalla mentre l’altra cerca il nottolino del reostato che tengo in grembo.
Adesso viene il bello, ci vogliono calma e tempismo. Lentamente comincio a dare corrente e, con altrettanta lentezza, nel corso di qualche interminabile minuto, la sagoma del ramo, del bait e del leopardo cominciano a emergere dal buio. La manovra è corretta e tanto lenta che la fiera non se ne accorge e continua a mangiare.

Quando stimo la luce sufficiente, porto anche la mano sinistra al fucile, inquadro l’animale e collimo appena dietro la spalla e un po’ più in basso. Con calma lascio andare il colpo.

La notte viene violata dal rimbombo, dalla vampa e dal ruggito della belva che cade dall’albero e scompare alla mia vista.
Tesissimo ascolto, mi sembra di udire un sasso rotolare, poi più nulla. Prendo tempo, immobile: il respiro di mio figlio Federico si è fatto più veloce, è sveglio e consapevole, probabilmente ha paura, ma ligio alle istruzioni non si muove ne parla.

Tutto è ripiombato nel silenzio più totale. Nessun allarme di animale segnala il leopardo e io sono sicuro del colpo del mio piccolo 6,5.
Possiamo muoverci con tutta la prudenza che le circostanze e la presenza di un bambino impongono. Accendo la grossa torcia che avevo posato a terra e usciamo dal blind. Dico a Federico di restare dietro di me e di seguirmi tenendo con una mano la mia cintura perché io possa sempre sapere dove è, gli dico di buttarsi a terra se dovesse sentire rumori improvvisi o ruggiti.
Rimuovo l’ottica e, messo il dito sul grilletto della canna liscia dei combinato caricata a dodici pallettoni, esplorando lentamente col fascio della torcia, ci avviamo.
La prudenza si dimostra, per questa volta, fortunatamente inutile. Il fascio di luce, infatti, illumina poco dopo il magnifico maschio esanime qualche metro oltre l’albero del bait.
Federico mi abbraccia e, mentre la tensione viene sostituita dalla gioia e dalla commozione, sento la macchina con gli aiutanti neri che vengono a recuperarci.

Michelangelo

libro 10

Foto di proprietà dell’ autore.

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