EDUCAZIONE ALLA CACCIA

   Le piogge, quest’anno, sono du­rate molto più del solito e i gran­di kudu di questa meravigliosa area al confine col Botswana non sono anco­ra risaliti, come d’abitudine, sulle colli­ne più alte.

All’inizio di luglio i maschi indugiano nelle piane che dividono le lunghe ca­tene dì montagne granitiche e questo rende tutto più difficile anche perché i fondovalle sono coperti da densi ce­spugliati di acacie spinose. Difficile ve­derli, più difficile avvicinarli.

 Il maschio che è appena scomparso nel fitto mi ha però dato il tempo, dall’alto della Toyota, di valutarne il trofeo. Adulto maturo, ben formato anche se non eccezionale.

Un rapido cenno d’intesa con Johan, il professionista locale amico di lunga data: «Va bene, andate».

Veloci e silenziosi, lui e Federico scen­dono dalla macchina e si immergono nella macchia.

Lì intravedo ancora un paio di volte, poi scompaiono dietro un’ondulazione del terreno.

Mi aspetto, come è più volte accaduto negli ultimi giorni, dì vederli rientrare presto.

Passano cin­que minuti, poi dieci: niente.

Ancora qualche minuto. Poi da lonta­no mi giunge, netto anche se smorzato, lo sparo che riconosco subito per quello del piccolo basculante 6,5×57 R di Federico.

Domino impazienza ed ec­citazione per altri cinque minuti: nulla.

Faccio un cenno a Jon, il traccia­tore Zulu, afferro il mio 8×68 e ci tuffiamo nella macchia.

Cammino rapido in direzione della fuci­lata, l’emozione e l’agita­zione mi crescono dentro e il cuore batte veloce co­me durante i miei primi avvicinamenti a selvaggi­na africana, oltre una quarantina, ahimè, di anni fa.

Una febbre di caccia come da tempo non provavo più.

Mentre me ne rendo con­to e con la parte più ra­zionale di me sorrido, esco in una zona un po’ più aperta e intravedo, tra le acacie, Federico e Johan accanto a una gros­sa massa grigia nell’erba.

 Non appena mi scorge, Federico lascia cadere il fucile, butta il berretto che tie­ne in mano e mi corre incontro, bal­zandomi addosso in un abbraccio che mi fa quasi perdere l’equilibrio.

È talmente felice che non riesce a dire niente e mi tira deciso per il braccio fin dove un grosso kudu, il suo primo ku­du, giace colpito al cuore dalla piccola palla del 6,5.

Strette di mano, pacche sulle spalle, con Johann, coi boys…..

Mando i neri a prendere lo zaino con sigarette, macchine fotografiche e fiaschetta.

Poi, facendo finta di niente, mi allontano di qualche passo per nascondere la com­mozione che mi ha invaso.

Federico è un ragazzino lungo lungo e sottile, ha 14 anni ed è mio Figlio.

“Perfect shot, first kudu but not the last one”, dice calmo Johan, quasi altrettanto commosso. .

Assieme gli abbiamo insegnato le pri­me cose della caccia in questo meravi­glioso continente, quando era assai più piccolo e ancora non gli era con­sentito sparare. Assieme lo abbiamo ac­compagnato in questo primo safari tut­to suo.

Mi era parso che ormai il ra­gazzo fosse maturo per questo e non mi sbagliavo.

Johan è molto affezionato a Federico che conosce già da cinque anni. Si è fatto un punto d’onore di partecipare alla sua “educazione”.

Federico da parte sua, ricambia affetto ed ammirazione per questo giovane ma eccellente Afrikaan specialista in leopardi e lo seguirebbe ovunque.

Più tardi, mentre rientriamo al campo nel sole orinai piacevolmente caldo, la mente corre a ritroso in un mondo di ricordi, denso di immagini ed emozioni.

Tanti anni di caccia afri­cana mi hanno arricchi­to, per ogni giorno trascorso nella macchia, di sensazioni e conoscen­ze indimenticabili.

Ma allora, quando iniziavo io, non avrei potuto im­maginare che la gioia più grande sarebbe sta­ta proprio quella che vi­vo oggi accompagnan­do mio figlio, vedendo la sua passione, la sua esperienza, la sua sicu­rezza crescere giorno per giorno, vedendolo far tesoro delle sue e delle mie conoscenze, di tanti di­scorsi e suggerimenti correttamente re­gistrati, vedendolo crescere in ciò che amo di più, in ciò che lo arricchisce del­le mie stesse emozioni.

Se lui continuerà quando io dovrò smettere, ecco, quasi non mi dispiacerà.

Certo, a quest’età è forse presto per capire fino in fondo quanto giochi in un ragazzo una vera inclinazione o piuttosto l’imitazio­ne del padre. E per questo voglio es­sere prudente, non lo voglio forzare o “plagiare”. Voglio attendere con pa­zienza che si riveli quanto vi è in lui di autentico.

II mio amore per la natura e la caccia è stato ed è troppo fondamentale per po­ter accettare che lui, importante quan­to può esserlo un figlio, mi sia accanto non per “amore” ma “per forza”.

Non deve essere solo un privilegio, ma una sua conquista.

Così ha da essere una scuola e come tutte le buone scuole deve partire dalle basi, deve procedere per gradi, un gra­dino dopo l’altro senza saltarne alcuno.

Lì si vede se c’è la stoffa, come in tutte le cose della vita che, purtroppo (o per for­tuna?) non sono mai facili o scontate. Continuerò a ripeterlo: non deve essere un privilegio semplicemente erogato, deve formare e maturare.

Di arroganti rompiscatole, solo perché si sentono qualche bigliet­to da cento dì più in tasca, in que­sta felice società ne abbiamo anche troppi.

E’ un consiglio sincero che voglio dare a tutti gli amici che hanno l’opportunità e la gioia di iniziare un fi­glio alla caccia: cominciate dall’inizio.

Ho saputo non di ragazzi, ma di bam­bini, spediti in aereo a tirare a trofei re­cord quando i guardacaccia di qualche riserva li segnalavano.

Questo può ren­dere un servigio all’orgoglio ed all’esibizionismo cieco di un pa­dre, raramente alla formazione e alla coscienza di un figlio.

Lasciamo queste cose altrove, per carità!

Niente è più triste che vedere un ra­gazzo armato di fucile pronto a sparare su tutto.

E niente, per contro, è più confortante che vederlo apprendere giorno per giorno, acquisire capacità di valutare, di scegliere, amare la caccia per quello che veramente è, ove il tiro ed il successo fina­le non sono davvero la parte più im­portante.

Anche il culto per i grandi trofei lascia­telo venire col tempo, come naturale evoluzione.

In altre parole: vorrei sen­tire mi figlio dire: ”Ho trascorso una splendida giornata di caccia, impegna­tiva, faticosa, appagante», piuttosto che: «Ho tirato un animale di tale o talaltro punteggio,.

La caccia è soprattutto amore per la na­tura e non vi è amore senza conoscen­za profonda.

Insegnate, innanzi tutto, a capire e saper guardare, insegna­te ad aver orrore di tutto ciò che non è corretto e leale, delle inutili  sofferenze inflitte a una creatura, della voglia di sparare a ogni co­sto.

Insegnate a godere ed a mera­vigliarsi dell’infini­to spettacolo della natura e a preleva­re da essa con parsimonia e co­noscenza.

Inse­gnate a sparare bene, iniziando da calibri piccoli e ben dominabili di mo­do che cresca più la fiducia in se stes­si che quella nel fucile.

Insegnate la massima prudenza nel maneggio delle armi.

Insegnate soprattutto il rispetto e l’amore per ogni creatura, fate capire che è meglio vedere molti animali liberi che un animale morto, che caccia e conservazione cosciente debbono an­dare di pari passo perché possa conti­nuare a esistere quel meraviglioso libro aperto della natura che è l’unico, in de­finitiva, sul quale possiamo apprende­re qualcosa, anche di noi stessi.

La caccia ed il suo futuro, la sua stessa so­pravvivenza, non hanno bisogno dì esi­bizionismi né di chiacchiere: hanno bi­sogno di gente cosciente, colta, appas­sionata.

Di gente che conquisti alla cac­cia tutto il rispetto e la considerazione che, se correttamente praticata, essa merita.

Ai nostri giovani, cui appartiene il mon­do di domani, deve essere assoluta­mente chiaro che caccia e conservazio­ne non solo possono e debbono convi­vere, ma che la prima può essere sen­za dubbio uno dei più importanti sup­porti della seconda e che solo unendo forze, coscienza e intelligenza di tutti coloro che la amano si può salvare  la natura, o almeno ciò che ne resta.

Michelangelo

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